Un viaggio poetico tra solitudine e libertà - Federico Costa
Nomadland di Chloé Zhao, uscito nel 2020, Leone d'Oro a Venezia e tre premi Oscar (Miglior Film, Miglior Regia e Migliore Attrice per Frances McDormand), è un'opera di straordinaria sensibilità, sospesa tra documentario e finzione, che tratteggia un'America invisibile fatta di persone ai margini del sistema economico e sociale. Il film è tratto dal libro-inchiesta *Nomadland: Surviving America in the Twenty-First Century* di Jessica Bruder, che racconta la vita di lavoratori itineranti costretti a lasciare le proprie case e a spostarsi di città in città, adattandosi a lavori stagionali e vivendo nei loro furgoni. La protagonista, Fern, è una donna di sessant'anni che, dopo la chiusura della fabbrica che sosteneva la cittadina di Empire, nel Nevada, perde il marito e la sua casa. Senza legami fissi, si mette in viaggio con il suo furgone, attraversando gli Stati Uniti occidentali alla ricerca di un senso di appartenenza e di nuove possibilità di vita. Ciò che colpisce immediatamente di *Nomadland* è la sua estetica realistica e contemplativa. La regia di Zhao è discreta, quasi invisibile, lasciando spazio a lunghi silenzi, paesaggi sconfinati e momenti di vita quotidiana ripresi con naturalezza. La fotografia di Joshua James Richards cattura con delicatezza la bellezza aspra del deserto americano, le strade polverose, i tramonti struggenti e i volti segnati dall'esperienza. Non è solo lo sfondo, ma un vero e proprio stato dell'anima: la vastità degli spazi rispecchia la solitudine interiore di Fern, mentre la natura selvaggia diventa simbolo della libertà e dell'incertezza che colpisce il suo stile di vita. Uno degli aspetti più affascinanti del film è il suo uso di attori non professionisti, molti dei quali sono veri nomadi che interpretano sé stessi. Tra loro spiccano Linda May, Swankie e Bob Wells, figure autentiche che condividono le loro storie con Fern e con il pubblico, aggiungendo un livello di realismo e profondità emotiva alla narrazione. La loro presenza rafforza la sensazione che *Nomadland* sia più di un semplice racconto cinematografico: è uno sguardo intimo su una comunità reale, su persone che hanno scelto - o sono state costrette - a vivere ai margini del sogno americano. Al centro del film c'è la performance di Frances McDormand. Con un'interpretazione misurata, priva di artifici, l'attrice riesce a trasmettere un'ampia gamma di emozioni con piccoli gesti e sguardi. Il suo viso, sovente in primo piano, narra di fatica e determinazione e di malinconia della donna che rifiuta qualsiasi possibilità di inquadrarsi nei canoni della società tradizionale. Non certo pietà chiede, Fern non vuol farsi salvare: il suo viaggio è un atto di resistenza, una ricerca di autonomia e di dignità. Il film affronta temi profondi e attuali, come la precarietà economica, l'isolamento sociale e la fragilità del sogno americano. Ma *Nomadland* non è un'opera di denuncia nel senso tradizionale: non c'è rabbia, né un'accusa esplicita alle disuguaglianze del sistema capitalistico. Zhao sceglie un approccio più poetico e umanista, lasciando che siano le immagini e le esperienze dei personaggi a parlare da sole. Questo lo rende un film molto empatico, capace di toccare universalmente le corde emotive senza mai cadere nella retorica o nella sentimentalità forzata. Tra gli elementi più significativi della pellicola c'è il modo in cui essa esplora il concetto di casa: per Fern e gli altri nomadi, la casa non è un luogo fisso, bensì un'idea, un insieme di relazioni e momenti condivisi. Il loro stile di vita sfida la concezione tradizionale di stabilità, dimostrando come il movimento e la libertà possano essere forme alternative di radicamento. C'è una particolare bellezza in questa prospettiva, ma anche un'innegabile rugosità: solitudine, difficoltà pratiche, consapevolezza che il futuro è sempre incerto. La colonna sonora minimalista di Ludovico Einaudi crea un'atmosfera sospesa e malinconica. Le morbide e gentili composizioni pianistiche accompagnano Fern nel suo viaggio ma non la sopraffanno; la intrecciano sentimenti di introversione, ricerca che permea l'intera opera. *Nomadland* è un'opera di straordinaria delicatezza capace di raccontare, con grande autenticità, una realtà spesso ignorata. Non è un film che vuol dare risposte facili, né tracciare un giudizio netto sulla vita nomade; invita anzi lo spettatore a osservare, riflettere e a farsi trasportare dal flusso dell'esistenza di Fern e degli altri personaggi. Con il suo stile sobrio e la sua capacità di cogliere la bellezza nascosta nelle vite ordinarie, Chloé Zhao ha realizzato un film profondamente toccante, che rimane impresso nella memoria e nel cuore. Il finale di *Nomadland* è emblematico del suo approccio narrativo e tematico: non c'è una vera conclusione, nessuna risoluzione definitiva. Dopo un breve tentativo di sistemarsi e accettare una vita più convenzionale, Fern torna in strada, riprendendo i posti dove ha trascorso la sua vita nella città fantasma Impero. Questo ritorno rappresenta la natura circolare della sua esistenza mentre ripercorre i luoghi della sua vita passata prima di riprendere il viaggio. Questo è un momento silenzioso, pieno di introspezione; è forse il messaggio più profondo del film: la vita è un viaggio, e ognuno trova la sua strada. E questo è anche l'istinto poetico di Zhao: non c'è un climax; per alcuni spettatori potrebbe essere disorientante, ma si allinea perfettamente con la poetica di Zhao. *Nomadland* non è un film che impone un punto di vista o un giudizio, ma un'esperienza immersiva che lascia spazio per la riflessione personale. La mancanza di un finale definito rafforza il sentimento di precarietà e libertà che permea l'intero film e in qualche modo rende il viaggio di Fern anche il nostro viaggio. Il film è anche un'indagine sulla resilienza umana e sulla capacità di adattamento. Fern, come gli altri nomadi, non si lascia ridurre dalle difficoltà, ma trova modi per reinventarsi, per creare nuove connessioni e per continuare a vivere con dignità. La storia di tanti americani che, in seguito alla crisi finanziaria del 2008, si sono ritrovati senza certezze e privi di una rete di sicurezze su cui appoggiarsi è la sua. In questo senso, *Nomadland* è anche il ritratto di come sia fragile il sogno americano: per molti questo è semplicemente sgretolato e rimane in strada l'ultima incarnazione. Prevale il tono della precarietà nel film, ma non mancano momenti di calore e di solidarietà. La comunità si sostiene: gente che aiuta gente, esistenze accomunate in sogni condivisi, consigli, affetti. C'è qualcosa di bello nei piccoli gesti d'umanità che Zhao coglie con la sua camera: un pasto condiviso attorno a un fuoco, un abbraccio, un consiglio su come sopravvivere nei mesi invernali. Questi momenti mostrano che, anche nella solitudine, si possono trovare legami e forme di appartenenza. Da un punto di vista cinematografico, *Nomadland* è un'opera che spezza le convenzioni narrative tradizionali. Il suo ritmo lento, la sua struttura episodica e la sua attenzione ai dettagli della vita quotidiana lo avvicinano più al cinema documentaristico che alla fiction classica. È un film che chiede allo spettatore di prendersi il tempo per osservare, per immergersi nei paesaggi e nelle vite dei personaggi, senza cercare risposte immediate. Questo stile forse non sarà consono a tutti, ma è proprio in quella capacità di catturare la realtà in maniera lineare e autentica che risiede la sua forza. In definitiva, *Nomadland* è un capolavoro di umanità e sensibilità. Chloé Zhao firma un'opera che trascende il semplice racconto cinematografico per diventare una riflessione poetica sulla vita, sulla libertà e sulla ricerca di un posto nel mondo. Con la sua regia discreta, le interpretazioni straordinarie e la malinconica bellezza delle sue immagini, il film si impone come uno dei lavori più significativi degli ultimi anni, capace di toccare il cuore e la mente dello spettatore con rara delicatezza.